Da qualche anno il dibattito sull’etica del dato ha assunto un’importanza cruciale, basti pensare all’inasprimento delle normative legate alla privacy, al dibattito sul web cookieless e al lavoro del Data Ethics Board presso la World Federation of Advertisers (WFA), che ha realizzato il rapporto “Data Ethics: The Rise of Morality in Technology” (Etica dei dati: l’ascesa della moralità nella tecnologia).
Partiamo da una domanda, quindi: chi è il data analyst, colui che maneggia per primo i dati degli utenti? Cosa fa e come dovrebbe svolgersi il Data Analysis Circle in una prospettiva etica?
Il lavoro dell’analista implica svolgere un’attività di misurazione, di raccolta e di analisi di dati web riguardanti un progetto, una property o un argomento.
Il procedimento dell’analisi dei dati è ciclico: si parte da un problema, si collezionano i dati, si preparano, si analizzano, si presentano i risultati e, infine, si prendono decisioni informate.
Data Analysis Cycle, tra consapevolezza, etica e privacy
Nel Data Analysis Cycle però bisognerebbe considerare anche altri elementi: il data analyst dovrebbe infatti sapere che ci vuole consapevolezza nel lavorare con i dati.
La consapevolezza è la capacità di essere presenti in quello che stiamo facendo, mentre lo stiamo facendo, attraverso:
- conoscenza dei contesti (non solo aziendali dei clienti) ma soprattutto delle persone, dei luoghi, del contesto;
- comprensione, cioè porsi delle domande sulla quantità, qualità e bontà dei dati;
- coscienza, ossia sensibilità, intuizione, visione complessiva.
La consapevolezza si manifesta attraverso uno stato mentale che dovrebbe essere il più possibile lucido, aperto e presente.
Il principale tema di riflessione rispetto all’uso dei dati è sicuramente l’etica, non solo nella fase di raccolta dei dati – il GDPR è già un esempio di come sia necessario un nuovo modo di porsi di fronte ai numeri, tutelando quindi l’individuo – ma proprio per la loro interpretazione quanto più possibile oggettiva. Ad esempio, è importante limitare il più possibile i “pregiudizi”, i bias, nell’interpretazione del dato, che potrebbero influenzare le decisioni che si prendono, aumentando problemi di disuguaglianza o esclusione.
Emerge, dunque, un’urgenza nel trattamento del dato che dovrebbe essere analizzato a favore delle persone e non viceversa: è necessario un cambio di marcia, è necessario pensare che dietro ad ogni numero ci sono delle persone.
Avvicinarsi ai dati, oggi, richiede un pensiero non solo orientato alle metriche quantitative, ma un approccio che fa riferimento ad insight comportamentali, che ci stanno dando diverse informazioni. Come ha descritto Alessandro Baricco nel suo libro “The Game”’, Internet può essere visto come un’enorme cartina geografica, dove ogni continente è rappresentato dalle grandi Big Tech, dall’AI, dai social media.
Ogni interazione-azione che un individuo compie nei vari “continenti” è parte di un racconto che ci svela chi è quella persona, perché fa certe scelte, dove sta andando, che cambiamenti stanno avvenendo nella società etc.
La rete è, in quest’ottica, una fonte di informazioni sociali, che ci permette di conoscere meglio l’uomo e il momento storico che viviamo: questo mette nelle mani di chi padroneggia i dati un grande potere, da cui derivano necessariamente grandi responsabilità, la responsabilità di poter migliorare le condizioni dell’essere umano, della società e dell’ambiente che ci circonda.
Il fattore umano nel data management
“Ascoltare i dati è importante…ma anche l’esperienza e l’intuizione. Dopo tutto, che cos’è l’intuizione al suo meglio, se non una grande quantità di dati di ogni tipo filtrati attraverso un cervello umano piuttosto che un modello matematico?” ha scritto Andrew Lang, autore, pensatore ed etnologo di inizio Novecento, un umanista che ha studiato l’uomo e la sua complessità, le sue relazioni, osservando dati, modelli di comportamento, correlazioni e comparazioni tra popoli.
Questo livello più alto di lettura dei dati in cui è richiesta sensibilità, intuizione umana e apertura mentale, dovrebbe far comprendere che quella del data analyst non è e non può essere un’attività puramente matematica o meramente meccanica, al contrario.
Significa essere osservatori privilegiati di nuovi trend e problematiche che si affacciano nella società e portatori di valore per la società stessa, nel momento in cui attraverso i dati si riesce a dare un contributo per il miglioramento della vita delle persone.
Questo genera un valore anche economico, per le imprese: sempre più frequentemente consumatori, istituzioni e dipendenti chiedono alle aziende di tenere in considerazione problematiche sociali e ambientali.
Siamo nell’ambito della CSR, la responsabilità sociale delle imprese, e delle metriche ESG, riguardanti Environmental, social, and corporate governance, oggi non solo importanti ma necessarie, quasi dovute. La CSR comprende tutti quegli interventi atti a conciliare il profitto dell’impresa con l’attenzione all’ambiente e al sociale: una politica che tende a coniugare le operazioni commerciali dell’azienda con un interesse particolare verso le questioni sociali e ambientali, il tutto in maniera volontaria da parte dell’impresa.
Al data analysis cycle iniziale, si dovrebbe quindi aggiungere l’aggettivo ‘umano’ generato dalla consapevolezza e dalla responsabilità che noi tutti abbiamo di fronte ad un dato.