Espressioni che si incontrano sempre più di frequente quando si parla di tecnologia applicata al mondo marketing: ma cosa significano i termini low-code e no-code?
In particolare, il concetto di no-code è molto sentito in questo momento, in vari ambiti di applicazione, soprattutto nel digital marketing.
No-code è un approccio, una metodologia attraverso la quale viene ideato un software: tipicamente, si tratta di uno strumento realizzato per persone che non hanno competenze di programmazione.
Come dice la parola stessa, infatti, è un modo di fare sviluppo “senza codice”, senza la necessità di sapere fare coding, appunto.
Tool no-code, perché sono una risorsa per i marketing manager
Un tool no-code, quindi, è uno strumento che è possibile utilizzare, settare e integrare con altri elementi, pur essendo marketer che non conoscono JavaScript o Python e non hanno un background da developer.
Facile comprendere perché è il grande trend del momento: si innesta perfettamente con la prospettiva del MarTech, dato che oggi il marketing è pervaso di tecnologia ma sia la formazione sia la forma mentis dei marketer sono, di norma, ancora lontane da un approccio informatico, che abbia a che fare con programmazione o scripting.
Il metodo no-code è un valido supporto, quindi, per rompere le logiche della cosiddetta “tech bubble”, la bolla di incomunicabilità in cui ci si trova spesso bloccati tra reparto marketing e risorse tecniche.
Sono stati gli sviluppatori stessi a comprendere, nel tempo, questa impasse collaborativa tra reparti aziendali e a creare soluzioni utilizzabili facilmente da tutti.
Grazie a questo nuovo tipo di software, i marketer hanno finalmente avuto accesso diretto a strumenti di automation, di parsing dei dati, scraping di informazioni online… un’abilitazione che viene vissuta dagli addetti ai lavori come un arricchimento notevole e un efficientamento del proprio tempo, poiché l’autonomia consente di non dover chiedere a un tecnico, di non dover attendere risposte e rispettare tempistiche da altre agende, o ancora – cosa più complessa – a non dover realizzare brief puntuali per far comprendere a una risorsa tech le esigenze e gli obiettivi del marketer.
E questo, oggi, vale persino per strumenti basati su intelligenza artificiale: il responsabile marketing arriva ad utilizzare algoritmi di AI e ML, comprendendone il funzionamento e le potenzialità ed apprezzandone rapidamente i risultati
Low-code, il giusto mezzo tra semplicità di utilizzo e raffinatezza tecnica
Possiamo dire che il low-code è ciò che ci aspettiamo dal futuro.
Nel recente passato, le Big Tech e tutti i grandi progetti che hanno rivoluzionato il mondo sono stati quasi sempre portati avanti da tecnici, sviluppatori e/o ingegneri, divenuti poi imprenditori. Come dire che l’input veniva sempre dalla tecnologia.
Il no-code, come detto sopra, rompe questo stato di cose e porta tutti a potersi avvicinare alla tecnologia, pur con una serie di limiti oggettivi e necessari: uno strumento del tutto no-code avrà però delle potenziali difficoltà a scalare e gestire alti livelli di complessità o di personalizzazione, perché sarà realizzato a partire da moduli poco flessibili o poco modificabili.
Il low-code, in questo senso, si pone come una via di mezzo “ibrida” e virtuosa tra i due approcci estremi: le piattaforme diventeranno sempre più ready-to-use, per consentire una UX intuitiva e immediata, ma verranno lasciate “aperte” delle parti, delle API, in modo tale che i dev possano metterci le mani, arricchendo e migliorando grazie alle loro competenze informatiche il lavoro impostato senza codice dai marketer.
Abbiamo approfondito il tema anche in una recente intervista su Engage.